Στοιχεῖα: un’introduzione al metodo integrato [Pizzotti]

su Ars Docendi. La rivista online del CLE

Στοιχεῖα: un’introduzione al metodo integrato [Pizzotti]

18 Aprile 2020 Ars Docendi 3/2020 Teorie didattiche 0

Centrum Latinitatis Europae, sede di Marsala 20/11/2019

Haec igitur professio, cum brevissime in duas partes dividatur, recte loquendi scientiam et poetarum enarrationem, plus habet in recessu quam fronte promittit.
(M. Fabius Quintilianus, Inst. Or., I, 4, 1)

A cura di Andrea Pizzotti

Abstract: Andrea Pizzotti, Herausgeber der lateinischen Zeitschrift “Ephemeris”, vergleicht in diesem Artikel verschiedene Lernmethoden der klassischen Sprachen. Im Wesentlichen geht er auf den traditionellen Grammatikunterricht im Vergleich zur Oerberg-Methode ein und spricht sich für einen Anfangsunterricht aus, der die Vorteile der einen und der anderen Methode in sich vereint.

La questione della persistenza del Classico e dei suoi risvolti a più livelli all’interno degli Istituti liceali e delle Università è stata oggetto di discussione nel corso dell’ultimo trentennio ed è tuttora riscontrabile un fervente dibattito che vede contrapporsi da un lato i detrattori degli studi classici, per i quali essi sono ormai inessenziali alla formazione dell’individuo, e dall’altro i loro sostenitori che cercano di garantire ancora una continuità a tali studi poiché ne riconoscono l’importanza e il valore. L’Altertumswissenschaft si sta trovando con il passare degli anni in una situazione sempre più ostica, a fronte di riforme scolastiche che ne hanno penalizzato lo studio e di docenti che spesso faticano a trovare aggiornamenti costanti e nuovi contatti con metodi didattici sempre più efficaci ed avanzati.
Si cercherà pertanto con questa piccola relazione di fornire in primo luogo un quadro dei metodi più noti per l’insegnamento delle lingue classiche, strumento primo e più importante a livello liceale per veicolare i contenuti e le attitudini delle culture antiche; in secondo luogo, si rifletterà sulle modalità atte ad applicare in maniera “integrata” -come mostra il titolo- tali metodi, cogliendone e combinandone i punti di forza e considerandone i limiti. Si intende infatti organizzare e strutturare quanto più possibile la materia al fine di riconoscere valore proprio a questi metodi, anche sulla base dei riscontri ottenuti nello stimolare l’una o l’altra competenza finalizzata all’acquisizione delle lingue antiche. Si analizzeranno infine degli esperimenti didattici di particolare interesse per questo tipo di approcci, così da creare una possibile linea guida da declinarsi anche in unità e contesti didattici differenti da quelli sviscerati qui di seguito. L’approccio di questo lavoro sarà perciò, quantomeno negli intenti, di carattere funzionalista, vista la prospettiva pratica che si cercherà di adottare, seppure non si perderà la consapevolezza che ogni riflessione affrontata in queste poche pagine non potrà certamente essere pienamente esaustiva per descrivere la prassi didattica, ben più complessa ed articolata di quanto queste righe possano pretendere di descrivere.
In tal senso, risulta interessante la citazione qui sopra, tratta dall’ Institutio oratoria di Quintiliano: riprendendo infatti elementi della didattica antica, il grammaticus di età flavia delinea un’interessante linea guida che fungerà da fil rouge per le riflessioni che si discuteranno fra poco. In questo passo della sua opera infatti, l’autore sottolinea la compresenza e la profonda connessione fra i due elementi più importanti dello studio delle lingue classiche: da un lato, viene riconosciuto, seppure nel contesto per gli scopi professionali di un funzionario imperiale, il valore intrinseco di una conoscenza profonda delle lingue, asintoto di ogni didattica e di ogni apprendimento filologico, riassunta dalla “capacità di parlar bene”, categoria amplissima per indicare un possesso linguistico dinamico e profondo; dall’altro, quest’ultimo si lega ad uno scopo ben preciso, ovverosia la fruizione testuale delle opere antiche, fine centrale degli studia humanitatis, i quali sostengono da sempre il valore dei capolavori che l’antichità ci ha tramandato. Il breve passo qui riportato si chiude poi con un altro interessante spunto, ossia quello di arrivare al recessus, alla profondità, all’absconditum delle nostre discipline, per poter davvero instaurare una riflessione viva e realmente filologica con i classici, comprendendone modi, tempi e contesti, ma, soprattutto, trasmettendone i saperi.

Introduzione:

All’interno dell’attuale dibattito su quale sia il miglior metodo per consentire un apprendimento pieno e consapevole delle lingue classiche- il greco e il latino-, si sono venuti ad imporre fondamentalmente due orientamenti, forse opposti nei processi, nelle modalità e negli approcci, ma coerenti fra loro negli scopi: garantire la possibilità di leggere i testi degli autori antichi, le cui opere hanno costituito dei capisaldi del pensiero e del mondo in cui viviamo, influenzandone le lingue, le mentalità e, in definitiva, le culture. Pur prefiggendosi entrambi il medesimo obiettivo, essi si fondano su processi inferenziali e didattici opposti: il primo è il cosiddetto Metodo Grammaticale-Traduttivo (MGT), basato su un approccio deduttivo alla lettura dei testi classici: a partire dalla teoria grammaticale, infatti, il discente approda al testo da tradurre tramite un processo di deduzione, ovvero di riconoscimento di una regola all’interno di un fatto comunicativo -il testo stesso-; il secondo è invece il Metodo Induttivo-Contestuale (MIC), che trova il proprio fondamento nell’induzione, ovvero nella scoperta di un meccanismo linguistico sotteso al fatto comunicativo. È centrale in tale prospettiva didattica la sottolineatura della componente comunicativa del testo, inteso come veicolo di contenuto vivo e significativo nel proprio contesto, in quanto consente un approccio davvero “filologico” ad esso, che miri ad un avvicinamento all’aspetto originario del testo, sia da un punto di vista espressivo che fruizionale. Quanto infatti deve essere veicolato come ipostasi di ogni riflessione testuale profonda e piena è proprio tale aspetto: la lettura del testo come un fatto comunicativo, come un’espressione significativa, i cui contenuti si dispiegano tramite il significante e la cui decodifica deve avvenire secondo i binari interiorizzati e acquisiti dai lettori.

Dopo questa premessa, iniziamo pure le nostre riflessioni a partire da una più ampia e completa definizione dei due metodi, tenendo conto pure del contesto in cui essi sono nati, la cui considerazione, almeno per sommi capi, potrà giovare alla completezza della nostra trattazione: si inizierà con un inquadramento del cosiddetto MGT, per poi passare al MIC.
Non si può anzitutto parlare propriamente di MGT come categoria certa, stabile ed immutabile: è necessario infatti comprendere a fondo la natura complessa e problematica di questa didattica, certamente non univoca. Le prime applicazioni del metodo si inseriscono infatti all’interno di un complesso dibattito che affonda le proprie radici nella metà del secolo XIX in ambiente austro-ungarico: il latino infatti non era più una lingua di scienza, essendo ormai stata scalzata dai volgari nazionali, ed il suo insegnamento perseguiva due fondamentali obiettivi: il primo era quello, appunto, di poter fruire degli alti contenuti formativi e morali dei suoi testi; il secondo quello di formare delle menti fortemente logico-analitiche, sulla scorta della visione logicistica della Grammaire de Port Royal, che, anche se con intenti ben differenti, aveva sottolineato la matrice logico-deduttiva dei fenomeni linguistici, tanto nella loro generazione, quanto nella loro forma definitiva. Per quanto concerne invece la lingua greca, essa non era impiegata come lingua di comunicazione all’interno dell’Occidente latino e il suo studio, coltivato nel Medioevo solo in alcuni luoghi -e.g. Mont Saint Michel- e legato inevitabilmente ad alcune personalità specifiche -quali, ad esempio, Leonzio Pilato all’epoca del Petrarca o Bruni in età umanistica-, anche sulla scorta delle riflessioni wolfiane esposte ed indagate nel corso del Seminarium Philologicum, il greco si affrancò come lingua oggetto di studio e non volta comunicazione. Per ritornare dunque alle riflessioni sul latino, il paradigma culturale di questa fase post-napoleonica era votato alla formazione di tecnici, di “menti scientifiche”, che potessero dimostrare e sfruttare appieno le loro capacità analitiche nei politecnici, lascito fondamentale dell’Impero di Francia. Il MGT tuttavia non esaurisce qui la propria genesi: esso infatti rappresenta una delle due polarità di un dibattito ancor più ampio, delineatosi nei suoi primi elementi già nel corso del Medioevo, quando il latino era ancora l’irriducibile custode del sapere: quello fra insegnamento “naturale”, ovvero del latino come “lingua viva”, e insegnamento “grammaticale”. È proprio la forte componente grammaticale a contraddistinguere il MGT: esso, infatti, prevede come operazione preliminare lo studio di ogni norma grammaticale in forma teorica, a partire dalla quale si perverrà ai testi, che permetteranno l’apprendimento della norma medesima tramite delle “prove pratiche” di difficoltà sempre maggiore, propedeutiche alla “versione”, prova per eccellenza del MGT. In essa si troveranno non soltanto delle singole strutture, ma, specialmente quando si tratti di testi pienamente autoriali, dei periodi complessi, forieri di significati che dovranno essere compresi e resi in italiano tramite l’irrinunciabile strumento del discente MGT: il vocabolario. Esso è infatti il primo e più importante strumento che lo studente deve imparare a padroneggiare ed utilizzare per ottenere un buon risultato nella prova di traduzione. L’approdo alla traduzione vera e propria tuttavia viene spesso raggiunto in maniera farraginosa e incompleta, limitandosi ad individuare i costituenti della frase alla spicciolata per poi ricostruirne la funzione logica e de facto non pervenendo, in molti casi, ad una vera e propria traduzione, ma, al massimo, ad un riadattamento, in un’altra lingua, di un medesimo testo verbatim, quando invece un vero processo traduttivo prevedrebbe una transcodificazione dalla lingua di partenza a quella di arrivo. Troppo spesso infatti i discenti divengono simili a dei “chirurghi” del testo antico, che cercano di smembrare e di riassemblare al meglio che possono, soprattutto tramite l’uso del vocabolario, le cui espressioni idiomatiche, fraseologiche e citazioni vengono impiegate più come strumento di interpretazione surrogata, piuttosto che di consultazione e di ricerca euristica del corretto significato contestuale. L’abuso generalizzato del vocabolario, inoltre, implica un accantonamento delle strategie mnemotecniche che molti didatti hanno creato e collaudato nel corso dei decenni per consentire una buona padronanza del lessico delle lingue antiche, ove invece il vocabolario funge, in buona sostanza, da dispositivo sostitutivo della memoria. Con queste affermazioni non si vuole tuttavia mettere alla berlina l’impiego del vocabolario, preziosissimo ed irrinunciabile sussidio per gli studiosi di ogni lingua, antica e moderna, quanto piuttosto sottolineare l’importanza dell’acquisizione di competenze in un suo uso consapevole e scientifico.

Per quanto concerne invece la storia del MIC, possiamo, con buona approssimazione del caso, tracciare delle linee più marcate. Prima di delineare carptim la storia del metodo vero e proprio, si tenga conto del fatto che il latino fu lingua di cultura per tutta l’età medievale: essa era infatti non solamente letta, ma anche impiegata abitualmente, tanto per le lectiones quanto per i saggi e i trattati, secondo un metodo che sarà definito alcuni secoli più tardi da Galileo “naturale”. Il punto di partenza era quindi un uso attivo della lingua latina, che traeva forza più dalla pratica attiva dell’idioma che dallo studio della sua grammatica: la conoscenza linguistica era pertanto imperniata sulla frequentazione dei testi e sulla loro interpretazione in una chiave viva e pregnante, consentendo di coniugare preconoscenze, associazioni lessicali e pratica di lettura del testo. Il MIC stricto sensu nasce tuttavia a seguito delle ricerche e dei lavori di Hans Oerberg che nel 1960 pubblicò il corso Lingua Latina per se illustrata, ove, ispirandosi alla didattica delle lingue moderne -egli stesso era professore di inglese a Copenhagen-, si configura un percorso didattico dal carattere, appunto, induttivo-contestuale. I volumi di Familia Romana e di Roma Aeterna infatti consentono un approccio molto graduale alla lingua latina, esordendo con dei testi molto semplici, comprensibili a chiunque, che si fanno via via più complessi ed articolati, e consentendo agli studenti di giungere alla lettura in originale, nella seconda parte del corso, dei testi di autori classici quali Livio, Sallustio e Cicerone. I volumi di Oerberg tuttavia non si limitano a collazionare dei testi in ordine progressivo di difficoltà, ma delineano una vera e propria storia, ispirata allo stile di vita di un’agiata famiglia della Roma di II secolo d.C.; il tutto è corredato da immagini e didascalie, che aiutano a non perdere il filo delle vicende e a fungere da note per i vocaboli e i le radici verbali più ostiche. Alla fine di ogni unità didattica sono infine inseriti i pensa, veri e propri “compiti” che fungono da strumento di consolidamento ed acquisizione tanto dei vocaboli, quanto delle strutture inserite all’interno del capitolo appena concluso. È stato inoltre prodotto un altro corso dall’imprinting induttivo-contestuale per il greco (Ἀθήναζε) che, su scorta del volume di Oerberg, ha costituito un ulteriore strumento didattico. Il MIC si basa in ultima analisi su un’immissione vera e propria del discente all’interno di una dimensione storico-culturale ben precisa, che mira a facilitare l’assimilazione di dinamiche, pratiche e tratti culturali del sistema linguistico oggetto di ciascun corso. Lo scopo è in ultima analisi l’assorbimento delle lingue non soltanto tramite uno studio induttivo-contestuale, che cioè abbia come punto d’avvio il contesto entro il quale i singoli fenomeni linguistici si situano, producendo di fatto un meccanismo induttivo alla comprensione delle strutture morfo-sintattiche, ma anche di saperi ed elementi di “cultura e civiltà” che completino ed arricchiscano la conoscenza dell’Antico.

Elemento cardine della didattica MIC è il lessico, il cui apprendimento avviene, come ricordato anche prima, in maniera graduale e contestuale all’acquisizione delle strutture grammaticali: esse vengono tuttavia sempre inserite all’interno di frasi via via più complesse, all’interno delle quali confluiscono anche elementi inusitati e non oggetto di studio fino a quel momento, la cui acquisizione avviene, come avremo modo di discutere in seguito, per via “inconscia”. È proprio questo uno dei punti di forza principali del MIC: l’introiezione inconsapevole di strutture al fine di instaurare fenomeni generativo-trasformazionali, che possano indurre il discente a “costruire” le forme di quella lingua, tramite associazioni, analogie, preconoscenze e deduzioni. Il discente si troverà di conseguenza ad aver acquisito dei lessemi e delle strutture grammaticali senza averne precedentemente osservato la forma in maniera analitica, ma procedendo per via sintetica ed induttiva. Gli spunti didattici del MIC risultano perciò degni di nota e di studio in virtù del differente processo che attuano nell’acquisizione delle lingue classiche, quantunque la riflessione grammaticale puntuale ed esaustiva che viene veicolata tramite il MGT non sia, per ragioni intrinseche del metodo, oggetto di ampia menzione e di studio puntuale da parte di chi applica il MIC. La grammatica normativa infatti non viene per la più parte delle lezioni fatta oggetto di riflessione metalinguistica e la sua assimilazione avviene piuttosto induttivamente ed in forma implicita. Cionondimeno, tra i sussidi forniti quando si intraprenda un corso di latino e/o greco che faccia capo al MIC, figura pure l’enchiridion, ovverosia il “manuale”, contenente l’insieme delle norme fondamentali alla consultazione grammaticale: esso non è comunque pensato come vero e proprio strumento di studio analitico, in quanto il metodo stesso non lo prevede, data la priorità attribuita alla componente induttivo-contestuale. La prospettiva in cui viene presentata la grammatica non è dunque di tipo normativo, quanto piuttosto funzionale, il che si rispecchia pure nei sussidi, ove non vengono presentate con grandissimo approfondimento le particolarità e le eccezioni, che vengono riconosciute e commentate di volta in volta, affidandosi anche ampiamente ai meccanismi generativo-trasformazionali stimolati nei discenti.
Dopo aver presentato in maniera succinta e certamente non esaustiva i fondamenti dei due metodi, si procederà ora a presentare quella che può essere ritenuta una forma di compromesso fra il MIC e il MGT, allo scopo di cogliere gli elementi migliori di entrambi, consentendo pertanto una didattica rinnovata e quanto più completa possibile, pur tenendo sempre conto di un elemento: la consapevolezza di quanto è venuto prima di noi e del fatto che quanto si dirà non sorge dal nulla, ma che è frutto di un percorso di rispecchiamento nelle buone pratiche didattiche che sono state esperite di volta in volta in più contesti.

Lineamenti per l’integrazione:

Dopo aver fatto le dovute premesse, si procederà ora ad una migliore e più completa delineazione dell’oggetto di questo contributo: quello che definiremo il “metodo integrato”. Visti i caratteri che si sono poc’anzi discussi, risulterà semplice per i lettori individuare a che cosa ci si riferisca con questa espressione: il tentativo di questo lavoro sarà infatti quello di fornire delle linee guida che consentano, appunto, di “integrare” i due metodi, ovverosia di coglierne e sfruttarne al meglio i punti di forza, contemperando i quali sarà possibile fornire una conoscenza quanto più possibile completa di ciascuno degli aspetti che, ora un metodo, ora l’altro, focalizzano ed approfondiscono. In conformità a quanto accennato precedentemente, appare evidente che i due metodi si differenzino per approccio: il MGT infatti sfrutta fondamentalmente meccanismi deduttivi, che cioè, a partire da una regola nota, ne ritrovano i caratteri in un testo; il MIC si avvale d’altro canto di meccanismi induttivi: a partire cioè da un contesto comprensibile, si estrapola il funzionamento di un fenomeno linguistico. Aggiungiamo inoltre che il MGT si serve, per raggiungere i suoi scopi didattici, di un metalinguaggio, inteso come un dispositivo linguistico che consenta di esplicitare norme e forme grammaticali le quali rimarrebbero altrimenti implicite e non costituirebbero altrimenti un input significativo: la nota esplicativa risulta infatti il mezzo indispensabile per il discente per pervenire alla regola grammaticale propostagli. Il MIC pure in questo si presenta come una pratica didattica opposta, in quanto, al contrario del MGT, lascia ampio spazio proprio ad una comprensione che ha luogo specialmente nell’implicito, nell’acquisizione di fenomeni linguistici, più che di regole grammaticali, che devono essere comprese ben prima dell’esplicitazione metalinguistica che, comunque, la pratica didattica MIC prevede, ma che ha una funzione di ulteriore ausilio alla sedimentazione dell’acquisito e non ne è elemento sostanziale: per comprendere quanto si sta dicendo, basti pensare che i manuali di Oerberg avevano lo scopo primo di essere impiegati da discenti autodidatti, che non avrebbero perciò avuto la possibilità di vedere eviscerati quei fenomeni da un insegnante, ma ne avrebbero dovuto acquisire i tratti tramite la frequentazione iterata dei fenomeni medesimi.
Perveniamo ora ad un concetto strettamente collegato con quanto appena presentato, ovverosia la differenza, delineata negli scritti del glottodidatta Krashen, tra apprendimento ed acquisizione: l’apprendimento è un’operazione di carattere conscio, esplicito, in cui vengono presentati determinati elementi, in questo caso fenomeni linguistici, e se ne comprendono le logiche ed i meccanismi che, una volta compresi, vengono fissati attraverso esercizi di tipologia variabile. Esso è strettamente collegato con la comprensione di un concetto spiegato nei suoi termini ed elementi costitutivi. Tuttavia, questo, secondo gli studi di Krashen, non basterebbe a far sedimentare nella memoria a lungo termine le informazioni comprese e dunque non permetterebbe di acquisirle. Le informazioni rimarrebbero pertanto confinate nella memoria a breve termine che basterà appena per il giorno della verifica o poco più. Per acquisizione intendiamo invece un processo più profondo, che pertiene più ad un modus operandi che ad un semplice incameramento di nozioni: l’acquisizione è anzitutto un processo inconscio, implicito, che si fonda su un tipo di conoscenza induttiva, che cioè, partendo non da metalinguaggi ma da preconoscenze e prerequisiti, individui sponte sua i meccanismi sottesi a certi fatti linguistici, che verranno perciò non solo appresi, ma acquisiti, ovvero “fatti propri”. Sulla base di questa natura profonda e inconscia, l’acquisizione permette quindi una vera sedimentazione delle informazioni nella memoria a lungo termine e, in ultima analisi, consente di possedere realmente quel concetto. Nei suoi scritti, Krashen contrappone il MGT, latore di solo apprendimento, ma non di acquisizione vera e propria, al MIC, ritenuto il metodo più indicato proprio al fine acquisitivo. Il MGT infatti finalizzerebbe tutto alla prova di verifica, non consentendo un’acquisizione perdurante dell’appreso, ma solamente una conoscenza di durata limitata. Secondo gli studi di Krashen al contrario il MIC consentirebbe l’acquisizione tramite l’input comprensibile, ovvero un’inferenza induttiva che consenta il raggiungimento del significato senza supporti metalinguistici. Tramite la stimolazione di una comprensione che parta infatti dal discente e dalla sua lettura del testo, in quel caso formulato come input comprensibile, si potrà consentire una piena acquisizione del concetto affrontato, in quanto sarà proprio il discente a compiere quel lavoro di comprensione e acquisizione del passo sottopostogli: il procedimento inconscio che permetterà la comprensione del passo ne permetterà in ultima analisi anche la fissazione e l’incameramento pieno. A prescindere da come ci si ponga nei confronti delle conclusioni tratte da Krashen, le categorie qui brevemente delineate rappresentano un valido sostegno per la riflessione sulla didattica delle lingue classiche che si sta affrontando: lo scopo delle nostre ricerche sarà dunque quello di enucleare delle prospettive didattiche che favoriscano l’acquisizione dei fenomeni linguistici delle lingue classiche senza abbandonare del tutto nessuno dei due metodi, destreggiandosi anzi fra i due al fine di combinarne, come detto poc’anzi, gli aspetti più interessanti e fruttuosi. Da un lato infatti il MGT ha in sé una componente metalinguistica fondamentale, che porta con sé una padronanza notevole di categorie grammaticali e pratiche deduttive interessanti, assieme con le opportunità di comprensione minuta consentite da un apprendimento esplicito, che non deve essere abbandonata, quanto piuttosto essere riflettuta ed indagata in modo critico e consapevole anche con i discenti, destinatari primi di questa didattica. Il metalinguaggio e l’esplicitazione non sono infatti ostacolo all’acquisizione, ma parte di essa: i volumi stessi di Oerberg, strumento irriducibile del MIC, posseggono tuttavia dei riferimenti alla grammatica normativa che viene utilizzata al loro interno e mostrano essi stessi declinazioni e flessioni, quantunque l’approfondimento pure dell’enchiridion, come accennato prima, non sia paragonabile a quello di numerosi manuali “tradizionali”. L’esplicitazione è tuttavia un meccanismo difficile e delicato, in quanto deve sì perseguire la comprensibilità dell’input grammaticale, ma, d’altro canto, non deve far perdere l’aderenza alla lingua di partenza, prescindendo da input di carattere linguistico: il docente deve pertanto “fotografare” la complessità e gli aspetti minuti della lingua, senza perdere tuttavia di vista il proprio scopo trasmissivo, legato a doppio filo con la componente squisitamente linguistica. A tal proposito, si considerino preziosi gli spunti analogici, visto che, nella più parte delle occasioni, è possibile instaurare calzanti analogie fra la lingua d’arrivo -l’italiano- e le lingue di partenza -il greco ed il latino-, stimolando soprattutto l’associazione individuale e successivi spunti mnemotecnici a scopo fissativo. Nell’analogia e nella dialettica fra lingua di partenza e di arrivo, ben si inscrive la riflessione sull’altro caposaldo del MGT, ovverosia la traduzione: essa rappresenta infatti un lavoro di secondo livello che troppo spesso viene confuso con una pedestre trasposizione finalizzata alla pura verifica. La traduzione è infatti un sottile processo di conoscenza e rispecchiamento, che combina preconoscenze e novità inattese: con il processo traduttivo infatti il discente non mette alla prova solamente le proprie doti di comprensione linguistica, ma di vera e propria conoscenza dell’Antico a più livelli. La conoscenza necessaria ad una buona traduzione infatti è di carattere non solo linguistico ma anche culturale, sia in riferimento alla lingua di partenza, sia a quella di arrivo: per perseguire dunque il nostro fine acquisitivo, la traduzione non sembra da accantonare, ma anzi da promuovere il più possibile. Nel processo traduttivo infatti più che in ogni altro processo di interazione con un testo si compenetrano aspetti linguistici sia nella lingua di partenza che in quella di arrivo ed aspetti culturali, che devono essere transcodificati da una all’altra: se ne richiede pertanto una conoscenza e una dimestichezza piena e approfondita, che deve essere stimolata nella pratica costante e con l’aiuto del docente.
Il MIC d’altra parte offre il vantaggio dell’apprendimento di strutture, vocaboli e fenomeni linguistici in forma implicita, tramite un forte ricorso alla ripetizione e all’attingimento a corpora lessicali diversificati, che spaziano dal lessico quotidiano a quello sociale e politico, financo a quello filosofico: l’apprendimento del lessico è quindi graduale, parte dal concreto per arrivare all’astratto, ripercorrendo l’apprendimento “naturale” del lessico della lingua madre. L’acquisizione del lessico è infatti messa al centro del MIC, ricorrendo precipuamente ad una forma, appunto, graduale e davvero “diretta”. Il proposito definitivo dei meccanismi induttivi è proprio quello di non far utilizzare più al discente una L1 per comprendere una L2, cioè di non vincolarlo a passare sempre per la lingua italiana per leggere quella greca o latina, ma di far leggere il testo in forma diretta e immediata, evitando quello che la glottodidattica anglosassone definisce metaphrasing. Tale approccio diretto risulta fondamentale per una piena e profonda comprensione del testo, tanto nei suoi aspetti semantici significativi, quanto nelle sue componenti contestuali ricostruttive: in riferimento alla lingua latina, potremmo utilizzare la massima reading Latin as Latin, per fugare ogni dubbio interpretativo. L’acquisizione diretta del lessico, le cui spiegazioni di significato avvengono sempre nella L2, e la lettura induttivo-contestuale del testo antico sono elementi centrali del MIC, che possono davvero aggiungere un quid pluris alla preparazione dei discenti, che dovranno poi confrontarsi con prove di traduzione per cui saranno più che preparati, in quanto la loro conoscenza delle lingue antiche sarà davvero approfondita e arricchita dall’importante contesto dei brani che vengono loro sottoposti.
Si intende dunque proporre un’integrazione dei due metodi in questo senso: da un lato, si propone l’impiego di una didattica che presenti in maniera esplicita le regole grammaticali, con una prospettiva problematizzante e critica, e che non abbandoni la pratica traduttiva, ma ne aumenti anzi lo spazio all’interno delle lezioni, purché si guidino passo per passo i discenti nel complesso lavoro traduttivo, di cui comunque la pratica deve essere massiccia e consolidata nel percorso didattico; a tal fine, si tenga anche conto dell’importanza di un solido e serio lavoro di trasmissione di elementi culturali e linguistici, soprattutto tramite le associazioni individuali e le etimologie, strumento didattico formidabile sia per ampliare lo spettro lessicale a disposizione dei discenti sia per interessarli tramite la proposta di punti di vista e prospettive inusitate. Si potrà inoltre stimolare in tal modo la rielaborazione personale e pertanto l’acquisizione consapevole di quanto incontrato, cosicché i discenti apprendano “quasi senza accorgersene”. Queste linee guida infatti possono essere un ottimo modo di contemplare gli aspetti più pregnanti e formativi del MGT, tramite il supporto di strategie mnemotecniche per facilitare la memorizzazione delle norme grammaticali e ampie menzioni ai contesti in cui si situano i fatti comunicativi oggetto dello studio domestico e delle prove di traduzione: i testi. Dall’altro lato, si analizzeranno meglio le prospettive delineate dagli approcci MIC, in particolare le pagine di Lingua Latina per se illustrata e di Ἀθήναζε, allo scopo di potenziare la conoscenza del lessico delle lingue antiche secondo una prospettiva comparativa e diretta, ove cioè la spiegazione del vocabolo faccia ricorso ad immagini e spiegazioni in lingua: i discenti potranno in tal modo cominciare ad avvicinarsi alla lettura delle lingue antiche vera e propria, elemento fondamentale per il MIC, senza passare per l’italiano e, contestualmente a questo, ampliare il proprio patrimonio lessicale, la cui fissazione non deve essere meccanica ma vivace e, appunto, contestuale. Per raggiungere questo scopo, ovvero l’ampliamento del lessico, numerosi didatti hanno suggerito da un lato l’utilizzo di frasi in lingua latina e/o greca che permettano di associare immediatamente il contesto in cui un termine si situa ed il suo significato, anche avvalendosi del supporto di immagini che possano coinvolgere anche la memoria visiva, oltre a quella verbale. Un altro interessante spunto didattico per la fissazione del lessico e l’acquisizione delle strutture è la traduzione dalla lingua italiana alla lingua antica oggetto di studio -il latino o il greco- che costituisce un’ottima pratica di ripasso e di fissazione di quanto letto precedentemente in lingua originale; tutte queste pratiche didattiche hanno l’enorme vantaggio di “immergere” i discenti nel contesto delle discipline e di favorirne i meccanismi generativo-trasformazionali: la ripresa tramite i materiali MIC di quanto studiato con il MGT, l’arricchimento di quei contenuti e la loro riproposizione, assieme alla proposizione ex novo di altre costruzioni e nuovi vocaboli ignoti, ha sicuramente in sé grandi potenzialità euristiche e fissative. La produzione infatti di traduzioni non soltanto dei testi degli autori antichi ma pure questo “cambio d’abito” che consenta in prima istanza proprio ai discenti di rimaneggiare e riutilizzare quanto appreso dalla lettura dei classici per produrre a propria volta dei testi che rispettino da un lato gli stilemi di questo o di quell’autore -la proposizione infatti di prove di traduzione dall’italiano alle lingue antiche seguendo criteri stilistici κατ’ἂνδρα può pure rivelarsi un ottimo strumento di acquisizione di più forme di una stessa lingua letteraria- e che dall’altro consentano la riproposizione organica di strutture, vocaboli e radici note. Tutto ciò consentirà dunque un quid pluris di grande peso non soltanto nella preparazione degli studenti in fatto di lingua, ma ne cambierà pure la prospettiva, facendoli davvero calare nel testo come vero fatto comunicativo da protagonisti.

Rifacendoci infine a quanto evidenziato dal prof. Ricucci, esperto in didattica della lingua latina e greca -cfr. Ricucci 2017 “Lingua Latina per se notata” in “Lucida intervalla”- riflettiamo ora su un ulteriore strumento didattico che possa consentire una metodologia “integrata” fra i due metodi, sempre nella prospettiva quindi combinata di approcci MGT ed MIC oppure, per rifarci a categorie ormai notorie, espliciti ed impliciti: la nozione di noticing, inteso come pratica didattica “del far notare” degli elementi significativi di un testo ai discenti. Tale metodo infatti si basa proprio sulla compenetrazione per un verso di elementi tendenzialmente appartenenti a didattiche induttivo-contestuali, quali l’impiego di immagini esplicative, disegni e sottolineature, allo scopo di cogliere, appunto, tramite l’insistenza e l’enhancing su alcuni aspetti di un testo, delle costruzioni grammaticali, dei vocaboli o dei concetti presenti nel testo stesso; di converso, elemento centrale del noticing è il ricorso ad esplicitazioni di carattere metalinguistico, quali spiegazioni, domande dirette e associazioni di carattere analogico, che consentano una comprensione consapevole dei fenomeni e non soltanto una loro induzione intuitiva. Tale pratica può essere impiegata fruttuosamente nel corso delle lezioni come strumento di avvicinamento proprio a dei manuali che abbiano un’attitudine induttivo-contestuale, la cui frequentazione risulta particolarmente importante per i motivi soprammentovati: l’approccio del noticing offre infatti una preziosa opportunità di fissazione di concetti, vocaboli e strutture, tramite le associazioni che propone e la commistione di apprendimento “inconsapevole” e di discussione metalinguistica.
***
Si cercherà ora di delineare, tramite degli esempi pratici di alcuni didatti, i cui lavori potranno successivamente venir osservati più in dettaglio consultando la bibliografia fornita, degli ulteriori elementi esemplificativi che possano favorire la tanto ribadita acquisizione lessicale e morfo-sintattica delle lingue antiche, utilizzando metodi praticati in esperimenti didattici recenti.
Riflettiamo in primo luogo sulla presentazione di un nuovo argomento di grammatica nel corso delle lezioni: anzitutto, il manuale di riferimento generalmente presenterà l’argomento con un titolo in testa alla pagina, correderà ad esso poi delle brevi frasi che contengano quel costrutto morfosintattico o quella flessione, per pervenire dapprima ad una sua definizione e, successivamente, ad una sua presentazione puntuale forma per forma o caso per caso; in calce infine si troveranno eccezioni, particolarità e note che possano fungere da complemento didattico per una descrizione quanto più esaustiva possibile. Rifacendoci a quanto espongono diversi esperti -in particolare Guerra e Scarpanti- il primo approccio all’argomento è la spiegazione del titolo che viene presentato come un momento fondamentale per tutti quelli successivi: in esso infatti prendono forma le prime intuizioni e associazioni, nonché i primi pregiudizi. La spiegazione del titolo infatti è una complessa operazione di combinazione di prerequisiti e nuove informazioni, il cui avvicendarsi deve essere attentamente dosato dal docente: è necessario infatti da un lato preparare un terreno fertile per il vero e proprio corpus della lezione, oggetto dell’acquisizione, e d’altra parte stimolare curiosità e creare attesa nei discenti: entrambe queste possono essere ottenute tramite il ricorso ad associazioni con la vita quotidiana, giochi di parole, immagini e quant’altro possa risultare familiare ai discenti, che provvederanno essi stessi a produrre ricordi su queste ultime, strumento preziosissimo per far acquisire i concetti spiegati. Una volta iniziata la spiegazione vera e propria dell’argomento, è opportuno non solamente farsi portavoce di processi inferenziali che legano le parti del discorso, ma pure esplicitarne le relazioni e le consonanze, allo scopo di rendere quanto più metalinguistico e metadidattico possibile le relazioni fra le parti di uno stesso ragionamento grammaticale, favorendo poi, a scopo fissativo, la costruzione di immagini mentali e gerarchie di strutture, come vedremo essere vitale soprattutto per l’acquisizione del lessico per radici. Terminata la spiegazione teorica dell’argomento, si procederà poi alla lettura di periodi e versioni in lingua che contengano quel dato costrutto o quella data flessione verbale, creando così un momento di consolidamento e acquisizione di quanto spiegato: a latere di questo lavoro, si consiglia, come già detto in precedenza, un ulteriore supporto consolidativo proveniente dalla lettura di passi scelti dei supporti MIC, che possano, contestualmente al lavoro MGT, potenziare e rafforzare l’acquisizione contestuale dei costrutti o delle forme grammaticali studiati.
Prendendo le mosse da queste riflessioni, è possibile riflettere ora su un altro importante lavoro compiuto nel corso di questi anni, ovvero il ricorso a laboratori lessicali che consentano un apprendimento fluido e proprio del lessico delle lingue antiche, chimera per molti insegnanti, che riscontrano una scarsa padronanza del lessico latino e greco da parte dei loro studenti. Per raggiungere tale scopo, è necessaria la nozione preliminare di acquisizione lessicale per radici: le lingue classiche infatti hanno infatti costruito i loro lessici proprio partendo da singole radici, autoctone od importate, le quali hanno costituito gli elementi primi per la formazione dei loro vocaboli. L’apprendimento per radici è pertanto quello più vicino alla formazione linguistica delle parole stesse ed il modo migliore per padroneggiare dei lessici altrimenti difficili da dominare perché molto vasti e complessi come quello greco e latino. A partire dunque da una radice, se ne analizzano i costituenti, per pervenire poi ai derivati di una stessa radice nominale o verbale e costruire parentele, legami e gerarchie: in tal senso, schemi e i diagrammi risultano di grande utilità, in quanto favoriscono la costruzione di immagini mentali e l’organizzazione di idee, nonché una migliore fissazione dei significati dei vocaboli stessi. È risultato inoltre molto utile il ricorso ad associazioni non solo di carattere intralinguistico, radicale, ma anche interlinguistico, sia fra il greco e il latino, sia con l’italiano, tramite l’associazione analogica di termini corradicali e derivati, di cui si favorisce da un lato l’acquisizione nella lingua antica e dall’altro la miglior comprensione di un vocabolo in lingua italiana: in tal modo si potrà inoltre favorire la pratica associativa creativa dei discenti, che non risulteranno dunque solo bacini collettori di informazioni ma le potranno rielaborare e padroneggiare pienamente tramite loro categorie, competenze ed esperienze. Il discente potrà così instaurare attivamente dei processi di costruzione ed integrazione, come li hanno definiti i glottodidatti Kintsch e Van Dijk.
Ricercando infine un trait d’union fra questi due succinti spunti didattici, aggiungiamo importanti categorie delineate da diversi didatti -si veda almeno Perticari, 1996- in merito ai vari tipi di intelligenze che, senza pretese di definizioni minute, assempreremo all’interno di due macrotipologie: le intelligenze di carattere visivo, ripartibili in intelligenze iconografiche e verbali, ed intelligenze di tipo pratico. Le prime necessitano maggiormente di elementi grafici, quali ad esempio schemi, quelle iconografiche, o spiegazioni e definizioni, quelle verbali; le seconde hanno più un’attitudine pragmatica, che tende a prediligere l’esercizio rispetto al concetto astratto. Si aggiungano inoltre a queste categorie quelle di approccio intellettivo olistico ed approccio seriale: l’introduzione di queste due categorie consentirà infatti una migliore comprensione delle pratiche didattiche primo aditu. Nel caso in cui l’approccio del discente sia di carattere olistico, egli coglierà le tematiche e gli argomenti del suo studio in maniera più generale, complessa -Perticari dice visiva- cominciando dal generale per scendere nel particolare: l’olistico avrà dunque bisogno di spiegazioni di carattere analogico-associativo, generalizzante, per poi calarsi nelle categorizzazioni fini dei concetti affrontati. Il seriale avvicinerà invece gli argomenti in maniera più analitica e puntuale, prediligendo un’esplicitazione forte dei concetti, che saranno eviscerati inanellandoli uno dopo l’altro, appunto, serialmente. La ricezione delle informazioni risulterà pertanto diversificata a seconda dei tipi di approccio da un lato e dall’altro dall’appartenenza a questo o a quel tipo di intelligenza, influenzando ineludibilmente la prassi del didatta. Seppure non sia intento di questo studio dare precise demarcazioni e fornire immagini complete e coerenti dei tipi d’intelligenza, basti almeno un accenno alla necessità di contemperare il più possibile le differenze intellettive e ricettive dei discenti, offrendo input comprensibili ed incamerabili per tutti: da un lato infatti sarà importante spiegare titoli, concetti, costruzioni e flessioni, dall’altro saper riassumere quanto detto con schemi e diagrammi adeguati allo scopo acquisitivo, senza purtuttavia perdere un saldo ancoraggio alla pratica traduttiva e, assieme con essa, all’induzione contestuale, all’intuizione ed all’associazione individuale. Le spiegazioni in classe e l’assegnazione degli esercizi rivolti allo studio domestico dovranno in definitiva conformarsi quanto più possibile alle facoltà ricettive dei discenti, allo scopo di fornire loro degli input idonei alla loro forma mentis. Preme infine sottolineare il grande aiuto che gli approcci di carattere conversazionale possono avere all’interno di una pratica didattica ben organizzata: la conversazione, il confronto e la componente metadidattica potranno essere per il docente un elemento di valore aggiunto al proprio insegnamento. L’interrogazione dei discenti in merito alla prassi didattica in uso in quel dato momento per ottenere da loro dei feedback può in primo luogo offrire spunti importanti per il didatta e guidarne l’agire; in secondo luogo, inoltre, si potranno trarre grandi vantaggi anche dalla analisi esplicita del singolo studente, della sua singola intelligenza, del suo personale avvicinamento al sapere. In tal modo, discente e docente costruiranno un comune terreno di condivisione, presupposto per un’autentica assimilazione concettuale.
L’acquisizione in conclusione sarà garantita e cementata da un costante lavoro di frequentazione dei testi classici, sia in traduzione che in lingua, promuovendo riflessioni e rielaborazioni personali dei discenti che dovranno in prima persona arricchire quei testi che stanno leggendo con i propri pensieri, incanalando in dei loro propri binari i significati ed i contenuti con i quali stanno prendendo contatto. Abbiamo infatti avuto modo di vedere quanto l’introiezione profonda di un concetto, di una struttura o di una declinazione non possa avvenire che tramite la partecipazione attiva dei discenti: spetterà perciò ai docenti, grazie alla pratica ed alla motivazione, il compito di interessare gli studenti ad approfondire ambiti e discipline che in quest’epoca paiono lontani, astratti e inutili. La pratica in aula infatti dimostra quanto possa essere difficile, se non impossibile, far passare dei concetti se dall’altra parte della classe non c’è un vivo e vero coinvolgimento che, seppur in molti casi possa risultare di difficile creazione, deve comunque essere oggetto della ricerca e dell’autoesame da parte dell’insegnante. Solamente infatti dall’interazione proficua si potrà costruire negli studenti un vero κτῆμα ἐς αἰεί, un possesso perenne delle civiltà antiche, che deve essere veramente loro e di nessun altro.

Link degli atti di convegno:

Contributi dai convegni

Bibliografia essenziale:

-J. Gruber-Miller, When dead tongues speak, American Philological Association, 2006
-A. Giordano Rampioni, Manuale per l’insegnamento del latino, Patron, 2010
-P. Perticari, Attesi imprevisti, Boringhieri, 1996
-S. D. Krashen, Second Language Acquisition and Second Language Learning, Pergamon Press Inc., 1981
-M. Ricucci, Oerberg per se et per alios illustratus: la dimensione teorico descrittiva del metodo induttivo contestuale, Let. Class., San Paolo, 2013
-M. Ricucci, Lingua Latina per se notata: una annotazione sul metodo Oerberg alla luce dell’ipotesi del noticing di Schmidt in Lucida intervalla, 2017
-M. Ricucci, La dimensione valutativa dell’apprendimento linguistico del greco antico, Ed. Università Ca’ Foscari, 2013
-M. Ricucci, Insegnare lingua latina nella prospettiva della “linguistica” moderna, in Quaderni del Liceo D’Azeglio, 2014
-M. Guerra, L’insegnamento della grammatica greca ad alunno dislessico in ginnasio: un esempio di piano didattico personalizzato in Quaderni di Atene e Roma, 2013
-R. Iovino, Il latino nella prospettiva dell’educazione linguistica comparativa e inclusiva in Quaderni di Atene e Roma, 2013
-Scarpanti, in Quaderni di Atene e Roma, 2014
-R. Scocchera-C. Pisano, Dal metodo traduttivo al metodo induttivo: le ragioni di una scelta, in Quaderni di Atene e Roma, 2013
-G. Marchi, Il metodo tradizionale, le ragioni di un fallimento, GrecoLatinoVivo.wordpress, 2015
-L. Miraglia, Latine doceo, Ed. Academia Vivarium Novum, 2000
-H. Oerberg, Lingua Latina per se illustrata, 1960
-M. Balme, L. Miraglia, G. Lawall, Ἀθήναζε, Ed. Vivarium Novum, 2013

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *